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I Vincitori

Il 26 novembre si è conclusa la XIV edizione Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli dal titolo intitola “ONU: La pace (im)possibile”.

In diretta streaming sui canali Facebook e YouTube del Festival sono stati proclamati i film vincitori delle diverse sezioni di concorso.

Premio “FICC”

A cura della giuria FICC

Vincitore: RADJI di Georg Götmark e John Erling Utsi (Svezia-Norvegia)
Motivazione: Per avere aperto una finestra su una realtà vicina ma poco conosciuta e per avere ricordato l’imprescindibile dimensione comunitaria di ogni esistenza individuale, sottolineando quindi la necessità, per un effettivo rispetto dei diritti umani, di salvaguardare le comunità e i loro habitat contro la prepotenza degli Stati e dei loro apparati burocratici, spesso guidati da una logica universalizzante e razionalizzante poco rispettosa della varietà dell’esperienza umana.

Menzione speciale: VENTO NA FRONTEIRA di Laura Faerman e Marina Weis (Brasile)
Motivazione: Per il coraggio con cui sceglie di rappresentare la contrapposizione tra fazendeiros e popolo Guaranì-Kaiowà in un territorio conteso. Attraverso precise scelte stilistiche riesce a presentare punti di vista lontani e opposti: quello escludente ed esclusivista dei proprietari e quello degli indigeni, che vivono la terra in modo simbiotico, e la cui narrazione atemporale sottolinea i legami più che i confini e le esclusioni. Da questa contrapposizione emerge anche l’importanza di affiancare alla mera tutela dei diritti privatistici una maggiore attenzione alla dimensione comunitaria e sociale dell’esistenza e dei diritti umani.

Premio “UN PONTE PER”

A cura della giuria “Un ponte per”

Vincitore: NICHTS NEUES di Lennart Hüper (Germania)
Motivazione: Per aver saputo denunciare l’ipocrisia e l’inefficacia della politica migratoria europea attraverso il racconto della crudele attesa dell’equipaggio bloccato sulla nave confiscata. Il tempo scorre mentre le persone annegano a poche miglia di distanza. Come se il viaggio intrapreso per una vita migliore spazzasse via l’unicità delle loro esistenze. Dopo aver salvato centinaia di persone fuggite dalle loro terre d’origine e dai campi di detenzione, la vita e i corpi dei soccorritori e attivisti/e della nave diventano oggetto dell’accanimento della politica che criminalizza la solidarietà mentre decide di lasciar morire persone innocenti in mare.

Premio AMBASCIATA SVIZZERA PER LA PACE

A cura della giuria Ambasciata Svizzera in Italia

Vincitore: ÇERX di Metin Ewr (Turchia)
Motivazione: L’Ambasciata di Svizzera assegna il “Premio dell’Ambasciata di Svizzera” della quattordicesima edizione (XIV) al film: ”Çerx”, di Metin Ewr. Il film ci ha convinto con il suo commovente e ispirante ritratto di una regione di Dyrbarkir negli anni ’90. Il film parla del coraggio dei protagonisti e della loro determinazione a non farsi togliere la libertà di informazione ed espressione, anche se ciò comporta un grande pericolo. Dimostra che la pace prevale solo quando le strutture e istituzioni creano un ambiente che permetta una società che rispetti i diritti di tutti e tutte.

Menzione speciale Platea Diffusa

A cura della giuria Platea Diffusa.

Vincitore: IL PAESE DELLE PERSONE INTEGRE di Christian Carmosino Mereu (Italia)
Motivazione: Il Film si presenta come la tela di un dipinto. Un dipinto in bianco e nero, carico di emozioni, gesti, paure che esplodono sprigionando tutti i colori possibili compresi quelli dei quattro protagonisti. Una voce, una testimonianza diretta di una realtà, quella Africana, poco raccontata e che rappresenta una parte di mondo che freme, e che ci porta ad esplorare le speranze di una nazione desiderosa di riscatto per la conquista di libertà e diritti fondamentali. La parte documentaria è ben inserita nella narrazione. Il regista ha saputo raccontare soprattutto la forza di una comunità, non solo parentale che vive nel singolo individuo, con orgoglio e fiducia.

Menzione speciale Arrigoni-Mehr Khamis

A cura dei selezionatori interni del Festival.

Vincitore: MARA di Sasha Kulak (Francia)
Motivazione: Per aver documentato le proteste di donne coraggiose contro un regime autocratico nel cuore dell’Europa, mostrando anche, con un uso delicato e sapiente del mezzo cinematografico, le conseguenze terribili della repressione.

Premio Human Rights Youth

A cura della giuria Youth.

Vincitore: THE SPRAYER di Farnoosh Abedi (Iran)
Motivazione: Per l’originalità del film  che, da un lato,  mostra la Terra, nel nostro prossimo futuro come un posto orribile e rovinato, pieno solo di guerre e con un’aria danneggiata, irrespirabile, con personaggi spaventosi che RISPECCHIANO NOI. Dall’altro, è un vero e proprio inno alla vita, che paradossalmente emerge in tutta la sua potenza, la sua forza e il suo splendore quanto più cupo, grigio, devastante è lo scenario di distruzione che fa da sfondo alla guerra. E ancor più luminosa è la presa di coscienza che lo stupore di una vita che nasce infonde nell’animo umano, innescando una straordinaria trasformazione e portandolo alla consapevolezza che non ci sono vincitori e vinti in una guerra, non ci sono amici e nemici, ma solo l’uomo che distrugge se stesso e la sua vera essenza inutilmente. La vita è qualcosa di meraviglioso e straordinario che continua nonostante la guerra, spunta dalle macerie, palpita nelle crepe dei muri, e va curata e preservata, perché attraverso il rispetto della vita preserviamo la vera pace. Con la speranza che questo film venga visto da molti.

Premio Human Rights Short

A cura della Giuria Esperti (Valerio Cataldi, Daniele Ceccarini, Cecilia Strada).

Vincitore: NOT GO GENTLE di Sasha Ihnatovich (Slovenia)
Motivazione: Esiliati politici e attraversamento dei confini. Un corto che nella sua essenzialità sa presentare in modo toccante il dramma vissuto da chi cerca di attraversare i confini per trovare un’umanità negata nella terra madre. La negazione dell’umanità è evidente anche nella scelta di un bianco e nero che acuisce il senso di desolazione delle riprese di paesaggi naturali in cui la presenza umana è assente e incarnata solo da queste anime che li attraversano. Immagini di silenzio che si contrappongono alle voci, alle esperienze di tutte queste persone che nella loro ricerca di pace, di sicurezza, di dignità hanno trovato umiliazioni e torture. La sensazione è quella di un’umanità inesistente, persa, che vaga nella natura, uditore silente delle voci di queste persone. Nonostante la paura, la negazione e la violenza siano le sensazioni che vengono evocate, il corto non si esaurisce nella disperazione, anzi, invita al coraggio e alla resistenza attraverso la voce di chi nonostante tutto non smetterà mai di lottare per trovare un luogo in cui poter vivere degnamente la propria vita.

Menzione speciale: WE HAVE TO SURVIVE: FUKUSHIMA di Tomáš Krupa (Slovacchia)
Motivazione: I danni della globalizzazione, del capitalismo, lo sfruttamento del territorio ai danni della vita e dell’umanità. Un corto complesso – ma caratterizzato da un’estrema chiarezza, linearità e fluidità della narrazione – capace di toccare tematiche importanti come i disastri ambientali causati dall’attività umana, senza mai cadere in toni accusatori. Con delicatezza il regista ci guida nella quotidianità e nelle riflessioni di un sopravvissuto all’esplosione nucleare di Fukushima, che attraverso la sua voce e il suo sguardo poetico e acuto ma mai giudicante, sa avanzare critiche importanti. Il corto colpisce per la sua capacità di mettere in evidenza, con una pacata lucidità e razionalità, la responsabilità umana e i danni di un’economia e di una politica che, mettendo al centro le contraddizioni della società capitalista, hanno permesso disastri ambientali enormi a danno dell’uomo stesso e di tutta la vita che abita il nostro pianeta. Attraverso un linguaggio poetico e quasi intimista, il regista ci mette di fronte a un evento drammatico in cui migliaia di esseri umani hanno perso la vita e gli esseri umani sopravvissuti sembrano non aver imparato alcuna lezione.

Premio Human Rights Doc

A cura della Giuria Esperti (Valerio Cataldi, Daniele Ceccarini, Cecilia Strada).

Vincitore: LOS ZULUAGAS di Flavia Montini (Italia)
Motivazione: Los Zuluagas è un’importante testimonianza umana sulla delusione, la speranza, la rabbia, l’isolamento, la voglia di ricominciare e, insieme, la necessità di non dimenticare nulla. La regista, Flavia Montini, dà voce a Camilo e alla sua storia, fatta di memorie e di un difficile e doloroso passato da ricostruire. Un film in cui si intreccia e si sovrappone una vicenda privata e collettiva in cui i ricordi e i materiali sembrano cercare la propria collocazione come in un mosaico in cui sono stati persi dei tasselli. Una ricostruzione biografica, testimoniata dal viaggio di Camilo sulle orme della sua famiglia in Colombia, ma anche storica grazie alla raccolta di materiale dalla seconda metà degli anni ’80 al 2008, a cominciare dai 66 nastri Video8 e Hi8 e dai video che alternano la sfera privata alle immagini della storia politica e guerrigliera della Colombia. Il documentario alterna continuamente una memoria familiare, intima alla storia di una collettività politica, la storia di un Paese, in un dialogo che sembra quasi impossibile.

Menzione speciale: STORIA DI NESSUNO di Costantino Margiotta (Italia)
Motivazione: Il regista Margiotta riesce a raccontare con grande sforzo la storia di Lo Porto, in particolare le trame legate alla sua morte. E’ doveroso mettere in luce lo sforzo del regista perché che si tratta di una storia scomoda, ufficialmente inaccessibile, sulla quale è stato voluto far calare un impenetrabile silenzio istituzionale e mediatico. Non è possibile, infatti, ottenere né informazioni né dichiarazioni ufficiali, così come testimonianze video e interviste circa la vicenda di Giovanni Lo Porto. Sia durante la prigionia di quest’uomo sia a seguito della sua morte la politica e la stampa italiana hanno tenuto un atteggiamento di cupo silenzio. Per tale ragione, Storia di Nessuno ricostruisce gli eventi che hanno portato alla morte di Lo Porto attraverso uno stile paragonabile all’inchiesta televisiva, dando voce ad amici, familiari e alle persone vicine a Lo Porto che rompono il silenzio sulla storia di quest’uomo. Margiotta utilizza però anche un elemento artificioso, un espediente –  i pupi siciliani – che rimarcano ed evidenziano la disumanizzazione dei processi decisionali che hanno portato alla morte di Lo Porto.  Finito nelle mani dello Stato e dei poteri internazionali, viene trasformato in un burattino mosso da fili invisibili, governati da mani ancora più invisibili ma pesanti che decidono della sua vita e della sua morte senza assumerne pubblicamente la responsabilità.