I recenti avvenimenti di cronaca, relativi agli sbarchi di profughi salvati e raccolti dalle navi umanitarie nel cuore del Mediterraneo, pongono all’attenzione dell’opinione pubblica la tragedia di moltissimi migranti che, da almeno due decenni, partendo dalle coste dei paesi africani, tentano l’avventura dello sbarco in Italia e in Europa, per cercare scampo alle dittature, ai campi di prigionia e alla fame e miseria che li opprime nei Paesi d’origine, dalla profonda Asia fino alla Africa centrale. È un tema che il Festival ha più volte trattato e continuerà a trattare, con attenzione al destino che accoglie quelli che riescono a sbarcare nel Continente e poi vengono sottoposti a varie forme di discriminazione e limitazione dei Diritti fondamentali, dalla casa alla istruzione, dal lavoro equo alla protezione sanitaria.
Grazie alle evidenti proteste delle ong che gestiscono navi umanitarie e centri di accoglienza, e grazie anche all’azione di analisi e ricerca di gruppi politici europei come i Green, da alcuni mesi circolano dossier e documenti che provano come la solidarietà, in Europa, è perseguita come un reato grave e le persone che aiutano i migranti, in mare come sulla terraferma, sono tacciati di gravi reati e perseguitati con forme di repressione davvero straordinarie, equiparabili a quelle per gli omicidi e il terrorismo. La paura dell’invasione degli stranieri che induce i governi europei a punire severamente chi aiuta i migranti, è un segno di inquietante razzismo e xenofobia che va affrontato con tenacia per evitare che nuove prevaricazioni e violenze trovino nella legge una giustificazione pericolosa.
Il Festival, pertanto, ha voluto riunire alcuni responsabili di navi umanitarie per trovare un punto di incontro fra tante correnti di pensiero e rivolgersi all’ONU che dovrebbe tutelare il lavoro di questi equipaggi che, purtroppo, vengono sistematicamente incriminati dopo lo sbarco nei “porti sicuri” che gli vengono assegnati.
La proposta che il Festival avanza è quella di una richiesta di patrocinio delle navi umanitarie da parte dell’ONU che potrebbe tutelare maggiormente gli equipaggi e i responsabili delle ong che gestiscono le navi. Se le navi potessero operare come durante una missione ONU, pur essendo unità appartenenti a flotte private, il rischio di incriminazione si ridurrebbe e non assisteremmo alla sofferenza di migliaia di profughi salvati dai flutti ed esposti per giorni al rifiuto di assistenza medica e psicologica.